DESCRIZIONE
L'escursione inizia a Bosco Gurin, al posteggio della seggiovia, situato presso il ristorante Rovana. Attraversare il torrente sul ponticello legno, poi girare a sinistra. La salita inizia con una pendenza molto lieve, ciò che ci permette di scaldare i muscoli.
Continua a salire fino al passo del Pian Crösc. Qui bisogna scendere circa 90 metri fino all'alpe omonima. Il sentiero riprende poi a salire, e attraversa alcune ganne, senza alcuna difficoltà per coloro che hanno l'abitudine di camminare in montagna.
Il bivio per Bombögn Pizzo è un po' più difficile da trovare poiché non è segnalato. Per localizzarlo procedete così: continuate lungo in sentiero fino a uscire dal bosco, qui guardate con attenzione il pendio erboso alla vostra destra, dovreste riuscire a localizzare un sentiero che si arrampica in direzione della vetta. Il bivio si trova circa 100 metri prima della biforcazione per scendere a Campo Vallemaggia. Se si arriva a questo incrocio, significa che ci si è spinto troppo lontano.
La salita finale non è eccessivamente difficile, ma è veramente ripida. Fare attenzione a non scivolare durante la discesa. Arrivati al muro, è possibile camminare su di esso o camminare al suo fianco.
Per tornare a Bosco Gurin, oltre la via utilizzata per salire, c'è un'altra possibilità: esiste infatti un sentiero molto difficile (non segnalato e spesso invisibile) che scende lungo la parete nord (difficoltà: T5 - Itinerario alpino impegnativo). Non dirò niente di più. Se volete scendere (o salire) da questa via chiedete a un abitante di Bosco di accompagnarvi. Consiglio quindi di scendere utilizzando la via normale. Lungo questa discesa è possibile vedere un altro muro costruito con gli stessi obiettivi del suo fratello maggiore.
Bosco/Gurin
Bosco/Gurin (doppio nome italiano / svizzero tedesco walser) è un villaggio situato a 1506 metri di altitudine, nella parte superiore della Vallemaggia. È il comune più alto del Ticino, ed è anche l'unico tradizionalmente tedescofono del cantone.
Bosco/Gurin è stato fondato nel 1253 da coloni Walser venuti dall'Alto Vallese, coloni che hanno pure portato il loro particolare dialetto. La comunità è rimasta molto isolata fino all'inizio del XX secolo, ciò che ha contribuito a conservare il tipico dialetto locale. Sebbene Bosco/Gurin è (era) l'unico comune tedescofono del Ticino, è opportuno sottolineare che il villaggio non rappresenta una enclave: il suo territorio confina con la valle Formazza (Italia), territorio Walser, che a suo colta tocca il canton Vallese. C'è quindi una continuità territoriale.
Oggi, tuttavia il tedesca è in declino a vantaggio della lingua italiana. Nel 1970, l'82% degli abitanti del comune era tedescofono, contro il solo 32% nel 2000. Anche la popolazione residente ha registrato un forte calo: nel 1591 vi erano 300 abitanti, nel 1801 235, nel 1850 382, nel 1880 344, nel 1920 210, nel 1950 186, nel 1980 65, nel 1990 58, nel 2000 71 e nel 2004 73.
dagli anni 1970, il paese è diventato una stazione sciistica. Oggi ci sono due seggiovie (aperte anche in estate) e tre sciovie. Questo sviluppo del turismo ha contribuito a frenare l'emorragia demografica.
La pratica dello sci a Bosco
A Bosco lo sci ha una lunga tradizione, fu infatti introdotto già nel 1901 da un curato austriaco che insegnò agli abitanti del villaggio come costruire e utilizzare le attrezzature necessarie per la pratica dello sci. Nel 1945 fu fondato lo sci club locale, e nel 1954 si è tenuta quello che sarebbe poi diventato un classico per Bosco: lo slalom gigante Riri. È proprio grazie a questa gara che nel 1958 è nata l'idea di costruire una sciovia.
A causa della mancanza di soldi, il progetto è però rimasto in un cassetto. La prima modesta sciovia di Bosco, di un dislivello di appena 220 m, è stato costruito solo nel 1967 su iniziativa del gerente dell'Hotel Edelweiss. La prima vera sciovia, tra Bosco e Grossalp, prodotto da Von Roll, è stata costruita nel 1970. L'inaugurazione ufficiale si è tenuta il 13 marzo 1971. I primi anni di gestione sono stati estremamente difficile e la società era sempre nelle cifre rosse. Il motivo principale era il fatto che la stazione sciistica era (e in parte lo è ancora) frequentata quasi esclusivamente il fine settimana, e dunque molto soggetta ai capricci meteorologici.
Se la società non è andata in bancarotta è grazie alle donazioni di numerosi privati e a Von Roll (proprietaria della sciovia), che ha più volte accettato la sospensione del pagamento della quota annuale. La sciovia fu poi venduta nel 1981 a prezzo di favore alla società che la gestiva. Da quel momento il bilancia ha sempre chiuso nelle cifre nere.
Era dunque giunto il momento di pensare all'espansione del comprensorio sciistico: nel 1985 fu costruito una seconda sciovia in quota. Il primo impianto è invece stato diviso in due tronconi separati. Il successo fu immediato, ma nuove nubi sono apparse all'orizzonte: a causa della mancanza di neve nella parte bassa del territorio, gli impianti hanno spesso dovuto restare chiusi. Per rimediare a questa situazione, nel 1998 è stata costruita una seggiovia che porta gli sciatori in quota, anche se la neve è assente sulla parte bassa delle piste. Allo stesso tempo è stata costruita una seconda seggiovia in quota e la prima sciovia è stata spostata più in alto. Allo stesso tempo sono stati edificati un hotel e un ostello della gioventù.
Negli ultimi anni la stazione di Bosco Gurin ha fatto parlare di se a causa del fallimento della società che gestiva gli impianti di risalita. La pratica dello sci ha davvero rischiato di essere sradicata da Bosco, ma ora sembra che il futuro sia assicurato.
Campo (testo scritto in collaborazione con Uria Cerini)
Campo (Vallemaggia) è un comune della val Rovana, una valle laterale della Vallemaggia. Campo, noto per le sue frana (vedi sotto), ha la peculiarità di aver perso nel tempo la quasi totalità dei suoi abitanti..
Nel 1596 si contavano a Campo (e solo a Campo) 300 abitanti, che erano diventati sono 244 nel 1765. Nel 1900 erano 292, e 253 nel 1920. Nel 1950 (compresi quelli di Cimalmotto, Niva e Piano) vivevano 506 persone. Attualmente superano a malapena una cinquantina.
Questo imponente emorragia demografica è dovuto all'emigrazione e l'abbandono della terra natia. Gli abitanti di Campo (ma non solo) paritono in massa verso l'Australia, la California e in alcuni paesi europei, soprattutto Germania. Essi esercitavano soprattutto i mestieri di commercianti e banchieri. A fungere da testimone di questi tempi perduti ci sono a Campo alcune imponenti case signorili edificate nel XVII secolo da famiglie benestanti che avevano mantenuto i legami con la madrepatria. Purtroppo oggi sono spesso disabitate in quanto i discendenti di questi pionieri vivono ora nelle città.
I villaggi della Val Rovana oggi mostrano segni di abbandono e incuria, causati dal forte spopolamento. Molte case sono chiuse e vengono riaperte momentaneamente solo per le vacanze da parte dei loro proprietari che vivono e lavorano in pianura. Per concludere ancora una curiosità: la parte terminale della valle di Campo, dove si trova il vasto anfiteatro dell'Alpe Cravairola, è in territorio italiano. Questo territorio fa parte bel bacino imbrifero della Rovana, ma qui in confine di stato taglia in due la valle. Queste terre sono state a lungo contestate e nel 1874, dopo secoli di polemiche, sono state assegnate all'Italia, "contro la storia e la geografia".
La frana di Campo (La frana di Campo (testo scritto in collaboratzion con Uria Cerini)
Ogni volta che si parla di valli alpine, si deve il concetto di umanità al termine "natura". Il rapporto tra uomo e natura è cambiato nel corso dei secoli: con il taglio selvaggio e indiscriminato dei boschi sono apparsi i primi sintomi di una diminuzione del rispetto che l'uomo ha sempre avuto per la natura. I boschi e i fiumi si trasformano in una fonte di reddito, una risorsa economicamente sfruttabile. I risultati di questo nuovo atteggiamento è visibile ai piedi del paese di Campo, costantemente minacciato da una frana (nota: il termine geologico esatto è scivolamento, il termine una frana viene solitamente impiegato per definire il distacco improvviso di grosse masse di roccia), con la quale la popolazione ha dovuto imparare a vivere.
Il rapporto indivisibile che unisce l'uomo e la natura, che si manifesta attraverso gli interventi sul paesaggio, può essere diviso in due periodi diversi, gli obiettivi che li caratterizzano sono diametralmente opposti. Nel corso degli ultimi due secoli, l'uomo ha massicciamente sfruttato le risorse della natura ponendo le base per il suo annientamento. Questo è il caso dell'altopiano di Campo che, esposto ai cosiddetti "pericoli naturali" dopo il taglio indiscriminato dei suoi boschi selvaggi, soffre della forza erosiva del Rovana.
Gradualmente, dopo gli eccessi dati dal suo comportamento autodistruttivo, l'uomo ha cambiato il suo comportamento. Oggi sta lottando contro una frana che ha contribuito lui stesso ad accelerare.
L'uomo può dunque essere considerato contemporanemante causa e soluzione del problema. Per anni i valmaggesi hanno chiesto un intervento efficace per rimediare al problemi della zona di Campo e Cimalmotto e Cerentino.
Dopo tanti tentennamente le autorità politiche hanno compreso la gravità della situazione e, nel 1991, hanno pianificato un radicale intervento di contenumento della frana. La tutela e la sicurezza degli abitanti sono diventate il principale interesse delle autorità. La costruzione di una galleria di drenaggio con 23 pervorazioni subverticali in direzione della massa in movimento ha ridotto la pressione artesiana all'interno della stessa. Sul lato opposto della valle è invece stata scavata una galleria per deviare le acque del fiume Rovana, bloccando l'erosione ai piede della frana. In superficie sono invece stati realizzati una rete di canali in modo da limitare l'infiltrazione di acqua nel corpo della frana.
Accanto a questi interventi atti a limitare l'erosione, è stato predisposto un sofisticato sistema di sorveglianza che segue i movimenti del corpo della frana, inoltre sirene sono state installate nei villaggi toccati. Le autorità hanno anche studiato piani di evacuazione della popolazione.
Lo sfruttamento sconsiderato della natura ha dunque lasciato il posto a una politica di intervento programmato e puntuale, una sorta di lotta "rispettosa" ma impari contro una natura indomabile. Da questa battaglia nasce la speranza che gli interventi e le misure di protezione realizzati siano sufficienti per preservare la valle da eventi catastrofici.
Una frana che risale al 1834
I primi segni di questo triste fenomeno risalgono alla prima metà del XIX secolo, durante le alluvioni del 1834 e 1839. Il taglio dei boschi, e il relativo trasporto di legna via fiume fino a Cevio (con le inondazioni artificiali provocate dalle serre di ritenuta delle acque della Rovana), praticato dal 1851, sebbene già proibito dal 1859, è stato causa del peggioramento della situazione. Lo slittamente dell'altopiano di Campo si era però inesorabilmente in moto. Da quel momento, ad ogni alluvione il movimento si accenta. Nel 1897 la piccola frazione Mater venne distrutta, trenta persone sono state costrette ad abbandonare le loro case. La chiesa parrocchiale di Campo, situato su un promontorio dell'altopiano, ha subito notevoli danni a causa del cedimento del terreno provocato dalla frana. I restauri sono stati difficili e impegnativi: si trattava di salvare un monumento storico e artistico. Questa chiesa è stata utilizzata come parametro di riferimento per misurare lo spostamento dell'altopiano: in circa un secolo lo scorrimento orizzontale è stato di 25 metri!
La frana occupa ogi una superificie di circa 5 chilometri quadrati, ed ha un'altezza media di 200 metri. Il volume della massa in movimento è stimata attorno al miliardi di metri cubi.
Il muro del Pizzo Bombögn
Per assorbire l'acqua che si infiltra nel suolo, negli anni 1940 sono stati piantati sopra il paese di Campo 30mila alberi. Per evitare che le capre danneggiassero le piantagioni, nel 1947-48 fu costruita una barriera sul ripido pendio del Pizzo Bombögn. In cima alla montagna, dove i pali di legno non potevano essere eretti a causa del terreno roccioso, fu costruita un'opera in pietra di rara bellezza: un muro a secco di un volume di 420 m3. Per edificarlo è stato sufficiente il lavoro di tredici operai, tra aprile e dicembre del 1948. Il muro segue la montagna su un dislivello di 150 metri, più precisamente tra i 2'184 metri e la vetta a 2'331 metri, su una lunghezza orizzontale di 300 metri e un'altezza media di circa 2 metri. Il muro è recentemente (nel 2000) stato restaurato dall'Associazione per la protezione del patrimonio artistico e architettonico di Valmaggia (APAV).
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